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Cristoforo Colombo

Archetipo dell’uomo errante, è uno che quando sbaglia guarda lontano.

In un capovolgimento logico, i suoi errori diventano il perno del suo successo, perché lui stesso (il caso? Il fato?) riesce a fornire loro un valore salvifico e universale. Colombo infatti è uno che commette molti errori nel corso della sua vita, ma è anche un uomo che ha il coraggio di scommettere tutto sui suoi sogni e sulla sua follia, uno che alla fine, pur perdendo, vince.
Naufraga a Lisbona all’apice della gioventù, a 25 anni approda sull’ultimo lembo di terra occidentale conosciuto e da questo balcone sull’Oceano si innamora dell’ignoto. Chi, a 25 anni, non ha osato scrutare un orizzonte così infinito? E poiché Colombo è un sognatore e un visionario che non si arrende al passare degli anni e al tramontare della gioventù, continua a immaginare e a raccontare una summa di frottole, finché ha l’occasione di agire e non si tira indietro. Il suo non è un sogno che deve restare nel cassetto
...e la nave va...

M.T. Scorzoni

Stanislav Evgrafovič Petrov

26 settembre del 1983. Guerra fredda. Ronald Reagan aveva definito l’URSS come l’impero del male. La dirigenza sovietica e il Kgb si allertava per un possibile conflitto nucleare, facendo monitorare costantemente per cogliere indizi che mostrassero la volontà da parte della NATO di attaccare il Patto di Varsavia.

Stanislav Evgrafovich Petrov, colonnello dell’Armata Rossa, l’ufficiale di servizio al bunker Serpukhov 15, la notte del 26 dicembre 1983 doveva controllare il satellite e informare i suoi superiori di un eventuale attacco nucleare contro l’Urss. Tra la mezzanotte e l’una, il computer segnalò che gli USA avevano lanciato un missile contro l’URSS. Il colonnello ragionò sulla circostanza che se gli Stati Uniti avessero inteso lanciare un attacco nucleare lo avrebbero fatto con un massiccio numero di missili e non facendone partire uno solo. Classificò il segnale del computer come un falso allarme. Pochi istanti dopo, lo schermo radar, collegato coi satelliti spia, segnalò altri quattro missili lanciati dagli americani. La convinzione di Petrov era che si trattasse di un errore del computer, ma non aveva la possibilità di riscontrare in alcun modo cosa stesse accadendo: se l’attacco fosse stato effettivamente in corso e lui non avesse dato l’allarme, il suo paese sarebbe stato oggetto di un disastroso lancio di ICBM, senza il tempo di fare alcuna controffensiva. Se si fosse trattato solo di un equivoco del computer, Petrov, allertando i suoi superiori, avrebbe potuto innescare un massiccio contrattacco nucleare sovietico, che probabilmente avrebbe scatenato una catena di ulteriori attacchi.

Il possibile inizio della Terza Guerra Mondiale dipendeva dalla sua decisione.

Petrov stabilì che si trattava di un falso allarme. “Non scatenerebbero la Guerra Mondiale attaccandoci con soli cinque missili”, rivelò anni dopo. 

In effetti nessun ICBM era in viaggio verso l’Unione Sovietica, i sistemi satellitari radar avevano erroneamente scambiato i raggi del sole dall’altra parte del globo, con il luccichìo dei missili.